INTERVIEW

«Non è stata mai una scelta ma più una necessità, direi molto invadente, a tratti quasi un ricatto. Sia musica che arti visive sono parte di me da quando ho ricordi. Con le arti visive ho un rapporto più diplomatico, le ho studiate, erano parte della mia quotidianità ma il vero focus, quello a cui dedicavo tutto il tempo, erano i miei progetti musicali». 

L’urgenza creativa di di Alex Valentina, come ci spiega lui stesso nell’esordio della sua intervista, diversamente da come spesso accade, non riesce ad esaurirsi ad un solo campo espressivo ma da anni porta avanti progetti sperimentali sia nell’ambito delle arti visive che in quello musicale.  «Negli ultimi anni – prosegue – c’è stato uno switch e le cose si sono invertite, ed è buon segno, rompere i loop.Per me restano comunque due mondi molto vicini, e se entrambi sono restati e hanno convissuto così a lungo, probabilmente delineano due parti di me. La musica mi ha permesso di stancarmi, di liberarmi del sudore. Stai più a contatto con la gente e tutto ti arriva più in faccia. Le arti visive invece sono più riservate, mi consumano meno ma mi permettono un lavoro di ricerca più introspettivo, forse, più delicato».

Sebbene agli occhi della maggior parte delle persone l’ambito musicale e quello delle arti visive, in particolare in questo caso della fotografia e della nuova tecnica digitale del 3D, possano sembrare formalmente distanti, per Valentina sono solo due strumenti per poter dare la migliore forma espressiva per dare voce alle sue idee, intuizioni e visioni. Per dare vita ai suoi immaginari, la sua creatività si alimenta di riferimenti estetici e culturali, che anche in questo caso spaziano tra musica, arte, fotografia, design, storia, cinema, architettura, antropologia, la storia, la biologia, la chimica, ecc. «Non saprei dire cosa mi ispira ma mi circondo sempre di tante spunti che trovo in giro. Mi piace collezionare, mi piace il concetto di selezionare cose, tirare una linea tra me e il mondo. Dire questo si, questo no. Credo che il processo di definizione della propria identità vada in due direzioni, una interna, dove devi fiutare bene cosa sei e perché vuoi fare quello che fai, e una esterna dove devi distinguere ciò che non ti piace, quello che ti piace o che ti piace tantissimo. Le cose più pericolose sono quelle che ti piacciono e basta. Rischiano di essere di intralcio. Mentre ciò che ti appassiona più di tutto è certamente la cosa per cui vale la pena attivarsi. Questo è forse l’unico modo che ho trovato per combattere la paralisi delle infinite possibilità. Andando più nello specifico credo che la musica sia ciò che più seleziono e usufruisco attraverso un processo più accademico. Dal punto di vista visivo invece sono più pigro, mi ricordo e salvo un sacco di opere ma sono meno metodico, piuttosto randomico nella fruizione»Tra le moltissime “cose”, gli spunti che aiutano Valentina a costruire il suo immaginario musicale e visivo, quando gli abbiamo chiesto di entrare più nel merito, abbiamo scoperto i nomi di coloro che, più di altri, influenza il suo stile.

«Sega Bodega è, con molta probabilità, l’artista musicale che sento più vicino, i pezzi sono prodotti in un modo che rappresentano molto la mia visione in termini di dettagli, livelli, melodie e struttura dei pezzi, ma anche Duval Timothy quando sono al pianoforte. Sempre rimanendo in ambito musicale, Malibu è l’artista ambient preferita di quest’anno Mentre Oklou e Erika De Casier, oltre ad apprezzare molto la loro musica, sono delle belle persone.Tyler the creator invece è uno degli artisti main che non mi ha mai deluso. Non solo per la musica ma per la sua visione creativa a 360 gradi. Ha uno stile molto riconoscibile qualsiasi cosa faccia. Entrando in merito delle arti visive invece, i lavori dell’illustratrice francese Jiayi Li sono la mia ossessione degli ultimi anni. Mi piace tutto. Sopratutto la palette colore e i micro dettagli, riesce a ricreare una sensazione vera solo allo sguardo, che in pochi riescono a mio parere. Un cuscino pieno di dettagli. E anche qui uno stile cosi proprio e riconoscibile che spicca sopra ad ogni cosa. Uno dei registi che più mi è rimasto in presso ultimamente, è senz’altro Lilian Hardouineau in particolar modo per l’utilizzo che fa della luce e di come muove la camera attraverso i soggetti: una visione che si alterna tra il micro e il macro che da l’impressione di essere una mosca mentre guardi i suoi video. In ambito fotografico mi piacciono molto i lavori di Maisie Cousins, per i suoi pattern che evocano contemporaneamente delicatezza e repulsione, l’ultimo libro di Lucile Boiron, Jean Vincent Simonet per il suo approccio pittorico che ricorda un trattamento quasi chimico nei colori e nelle texture. Poi ci sono anche Charles Negre, in particolare i suoi progetti personali, Maria Luneva che riesce ad utilizzare semplici elementi naturali per creare gadget oggetti e trucchi – vorrei vivere in un mondo in cui la gente si veste, si trucca cosi e ha le use opere nel armadio – ed infine Arnaud Lajeunie. Sempre in ambito visivo, seppur lontano dalla mia estetica, osservo con attenzione i lavori di Christian Rex Van Minnen per l’iperealissimo dei suoi materiali e per il fatto che utilizza spesso elementi come caramelle gommose, una delle mie ossessioni ma anche Romain Lenancker per il suo gioco ambiguo tra fotografia e 3D. Mold, invece, è uno dei miei magazine preferiti da sempre per il suo racconto del cibo, oltre al fatto che il layout di Eric Hu è bellissimo. Poi mi viene da citare il loro di Ram Han, Suzy Chan e il pittore fiammingo Frans Snyders, di cui vorrei poter possedere un quadro».

Nonostante i molteplici input che Alex coglie nel contesto artistico, ci confessa che la sua ispirazione «nasce più da cose esterne. Sono ossessionato da tante cose fuori dal mondo culturale e creativo. L’antropologia, la storia, la biologia, la chimica ad esempio. Leggo e guardo tantissimo a riguardo. Mi piace mantenere un approccio meno accademico possibile nella fruizione, mi aiuta a vivermi le cose in maniera più genuina. È chiaramente un escamotage ma almeno così riesco a farmele arrivare in maniera più autentica. È un modo per non prendere queste cose troppo sul serio e ricordarmi che c’è altro. Mantenere una sorta di purezza è fondamentale. Ho imparato che a volte bucare le bolle aiuta a non rimanerci intrappolato».

Approfondendo maggiormente il suo processo creativo, ci viene spontaneo chiedergli se c’è un collegamento, e nel caso come riesce, a integrare il lavoro musicale e l’illustrazione  digitale: «non credo ci debba essere per forza una conciliazione, nascono da necessità diverse e anzi è importante per me lo switch pratico – ed emotivo – che i due diversi processi creativi richiedono. Fare musica richiede più alienazione ed è più stancante, l’illustrazione è invece più terapeutica. La cosa bella di quando scrivi musica è che ti sposta di più mentre ci sei dentro, la cosa brutta è che non puoi ascoltare altra musica mentre la fai. Mentre puoi goderti molta musica quando passi ore e ore a lavorare su Photoshop. Il punto per me è come incanalare la mia creatività in diversi campi e come questa nasca da una necessità di cambiare processo e di distaccarsi e riprendere fiato».

In ultimo, a chiusura della nostra chiacchiera, chiediamo ad Alex Valentina se ci sono dei temi delle storie o concetti a cui tiene veicolare più di altri e se ci fosse dei punti fermi nel suo processo creativo. «Per me è fondamentale ritagliarmi del tempo per portare avanti anche i progetti personali per poter testare nuove cose. Queste nascono in maniera spontanea, da cose che percepisco nel quotidiano, discorsi che faccio con le persone vicine ecc. C’è una nota sul mio telefono con una lunga lista dove mi scrivo tutte le cose che vorrei provare a fare. Chiaramente solo il 30% di queste idee poi prendono vita, ma mi piace pensare che pian piano riuscirò a farle più o meno tutte. I temi sono i soliti: l’intimità, la genialità della natura, le sue forme estetiche, le interazioni, gli spazi nel mezzo. Un punto fermo del mio processo creativo forse è perderci troppo tempo. Sono vittima dei dettagli, passo poche ore a fare l’80% di un artwork, e due settimane a definire il restante 20%. Questo mio perdermi nei dettagli non mi piace troppo, ci sto lavorando. Devo imparare a mettere dei punti».