«Ho studiato Fotografia e Arti Visive allo Ied di Milano. Sono nata e cresciuta nella provincia di Monza ma da circa otto anni vivo a Milano. Dopo aver completato il percorso di studi e mentre facevo i primi lavori da assistente, ho partecipato ad un corso di Storytelling presso l’agenzia Luz di Milano. Qui, con più consapevolezza, ho scoperto la mia passione per la fotografia documentaria, per l’utilizzo dell’insieme di più immagini, che attraverso lo strumento dell’editing, ti permettono di raccontare storie». All’esordio della sua intervista, la fotografa Carmen Colombo sceglie di ricostruire il suo percorso biografico che l’ha portata a scegliere la fotografia come campo di esplorazione espressivo; «durante l’adolescenza mi sono ritrovata incuriosita dalla fotografia in generale. Inizialmente credo avessi bisogno di un mezzo per esprimere la mia sensibilità. Studiandola poi, ho capito di non poterne fare a meno. È parte del mio modo di vivere il mondo».
Entrando nel vivo dello scambio, approfondiamo con la fotografa da dove nasce il suo immaginario intimo e diaristico che contraddistingue le sue immagini: «in generale credo mi abbia sempre ispirato molto la letteratura. Dai brevi racconti a romanzi classici. Leggere per me è fondamentale perché mi permette di creare un immaginario mentale molto personale di una storia. La lettura di spinge a farlo, devi sforzarti con l’immaginazione per visualizzare e comprendere quello che stai leggendo. Mi piace ascoltare, mi interessano molto le storie degli altri, anche attraverso il racconto verbale, storie quotidiane, esperienze, opinioni. Sono fondamentalmente molto curiosa». Proseguendo nel raccontare quali sono le sue passioni che alimentano la sua creatività, ci confida che «c’è stata una fase in cui mi sono avvicinata a tutto un mondo di racconti delle periferie e delle pianure, con autori Come Celati, Calvino, Michele Serra. Ho scoperto poi Raymond Carver che mi ha da subito intrigato con le sue storie con quel senso specifico di sospensione e tensione, che ti costringono a porti delle domande ma non ti danno alcuna chiave per averne le risposte.
Altri autori che amo molto sono Saramago che con le sue storie surreali, ti porta a comprendere il mondo reale». Oltre alla letteratura, la cinematografia ricopre un ruolo rilevante: «ultimamente ho scoperto e riscoperto la filmografia delle sorelle Rohrwacher. Mi piace la loro estetica e le storie i cui protagonisti sono spesso giovani ragazzi e adolescenti – descritti come creature fantastiche perché in quella fase della vita a cavallo fra l’infanzia e l’età adulta. Si tratta di storie moderne che sembrano però sempre ambientate in epoche passate. Mi ispirano ovviamente anche i lavori di altri fotografi. Mi vengono in mente i nomi di grandi fotografi come Jason Fulford, Alec Soth, Diane Arbus, Guido Guidi e poi artisti italiani più contemporanei come Iacopo Pasqui, Mattia Parodi, Johnatan Frantini». Ad ispirare Carmen, tuttavia, non troviamo solo le opere espressive di altri artisti o discipline ma anche le città. «Vivere a Milano per me è fondamentale ora. Mi piace l’atmosfera di questa città, moderna ma al tempo stesso con un’identità ancora ben ancorata a tempi passati per alcune tradizioni e luoghi, con le sue architetture e i suoi angoli tipici degli anni Sessanta e Settanta». Vivere a Milano, o inalare città, significa anche avere accesso e conoscere il lavoro di altri artisti attraverso diverse mostre ogni mese; «fondamentale per me è andare anche alle mostre. Recentemente sono stata a due mostre che mi hanno particolarmente ispirata: la prima “Reversing the Eye” alla Triennale di Milano Fotografia, dove sono state messe in esposizione le opere di diversa natura (video, dipinti, sculture, foto) di numerosi artisti italiani dell’arte povera, la seconda quella di PARVIZ TANAVOLI, scultore e pittore iraniano, dal titolo “POETS, LOCKS, CAGES” presso la Vancouver art Gallery. Quello che mi ha colpito, in particolare, è la sua capacità di rendere le sculture delle vere e proprie poesie. Viaggiare inoltre è sempre di ispirazione. Fino a qualche anno fa mi ispirava molto la cultura occidentale, gli stati uniti in tutte le loro contraddizioni. Terreno di un immaginario a cui siamo da sempre stati sottoposti in tv, cinema, letteratura, ma che svela al suo interno, in sguardo più approfondito, delle grandi contraddizioni».
Dopo aver, in parte, approfondito e compreso da dove nasca l’immaginario di Carmen nel creare i suoi scatti, gli abbiamo chiesto cosa significhi per lei produrre fotografie: «creare un immagine per me è una sorta di traduzione. É un filtro sul mondo. Quando lavoro parto sempre dall’osservazione della realtà. Attraverso il mio sguardo, quindi attraverso il frame della mia foto, isolo e cerco di dare nuova luce a frammenti di mondo. Anche per i miei lavori commerciali, spesso mi ispiro a scene viste o vissute. Mi piacere creare anche un corto circuito visivo dove la finzione e la realtà si mischiano fino a mescolarne e confonderne i confini. Fotografare per me è trovare qualcosa nel flusso della quotidianità di tutti i giorni, reinterpretarlo, farlo mio; scattare è come ricercare qualcosa di non ben definito e reinterpretarlo attraverso la mia visione. Prendo spesso nota di alcuni miei pensieri ma che vengono utilizzate come note mentali, da cui poi far nascere immagini. Fino ad oggi non ho preso in considerazione nessun altro mezzo espressivo, ma mi intriga molto il video, mi piacerebbe sperimentare un po’, rientra fra i propositi del futuro».
Al termine della nostra chiacchierata, chiediamo alla fotografa come si struttura il suo processo creativo e se ci sono dei temi o delle storie ricorrenti nei suoi lavori che più di altri ama raccontare.
«I miei progetti nascono spesso da situazioni quotidiane. Un tema ricorrente è sicuramente la provincia. Quando nasci in periferia, in qualche modo, ti porti per sempre nel tuo intimo una visione di luoghi più periferici, dei paesaggi, delle persone, le facce, i ritmi del vivere. Credo che questo immaginario torni spesso nei miei lavori, lo ricerco inconsciamente ovunque vada. Un’altro immaginario che mi incuriosisce molto è la vita nei luoghi di villeggiatura, spesso bolle in cui viene costruito ad hoc un mondo fittizio destinato al benessere dei clienti ma dove, contemporaneamente, si vengono a creare delle strane contraddizioni interne di artificio.
Nelle mie storie, mi piace ricercare e ritrovare una sensazione di sospensione nel tempo, anche come stato d’animo. Amo particolarmente osservare i volti delle persone, l’unicità di ognuno di noi. Mi affascina osservare quelli che comunemente vengono considerati “difetti” ma che in realtà sono le caratteristiche dell’unicità di ognuno di noi. Una delle cose che mi rende più felice è osservare un volto attraverso il vetro smerigliato della macchina fotografica e premere il tasto dell’otturatore. Molte volte le mie immagini nascono anche propriamente dall’osservazione della luce sugli oggetti, che siano edifici di una città o bicchieri su un tavolo».